Articoli scritti da: David Marín

I panni della precarietà

La precarietà non è necessariamente stracciona, non strilla per forza e molto spesso – molte più volte di quanto si possa credere – non è per niente un’accattona.
La precarietà la incroci per strada, sta di fianco a te sui mezzi pubblici; ti sorride, ti dà il resto, ti dice arrivederci, grazie e nemmeno t’accorgi che l’hai incrociata, vista, sentita, respirata, sfiorata.

La precarietà, mentre t’innervosisci inutilmente alla pompa di benzina per un infimo tempo d’attesa, ha già lavato, vestito, dato la colazione e portato a scuola uno o più bambini; s’è preparata, vestita, truccata, messa le scarpe col tacco che deve portare per lavorare

Dumping, a qualcuno piace opaco

Dumping è una parolaccia. Letteralmente. Non una di quelle parolacce che si evitano di pronunciare in presenza dei bambini che loro tanto le imparano uguale e ci si chiede chi le abbia insegnate sapendo bene – in fondo – chi sia stato. Dumping è una parolaccia che ha intaccato il nostro linguaggio perché s’è infiltrata nella realtà quotidiana, giorno dopo giorno, come un virus che si moltiplica in un organismo che ha dimenticato quale sia il suo sistema immunitario.

“Prima i nostri” : non è tutto oro quel che luccica

I luoghi comuni e i proverbi, prima o poi, possono sempre provocare un fronte aperto. C’è chi li ritiene stupidi, chi li vuole abbattere. C’è chi si oppone sempre e comunque alla loro diffusione. E poi c’è chi non può farne a meno, chi li giustifica perché racchiudono la saggezza popolare. In fondo – dicono – anche se una rondine non fa primavera non c’è nemmeno fumo senz’arrosto ; se proverbi e luoghi comuni esistono, devono pur prendere radice nella realtà.

Farinelli, la voce grossa (coi più deboli)

Punta le scarpe nere lucide al suolo con fare deciso. La schiena dritta tanto dritta ch’è fin troppo tesa. Le mani posate con più forza del dovuto sul tavolo dello studio TV, come se dovesse schiacciare il pulsante sotto il palmo della mano destra, mentre lo sguardo dice « la so, l’ho studiata per bene» prima ancora che la voce cominci a parlare.

Lorenzo Quadri : municipale di Lugano, Consigliere nazionale e ‘contaballe’

Alcuni giorni fa, sullo schermo connesso ad un filo Twitter fin troppo nutrito, è apparsa una frase divertente riguardo lo ‘storytelling’. Un tweet che recitava pressapoco così : ‘la traduzione di storyteller in italiano è contaballe’. Un ‘contaballe’, soprattutto quando la storia recitata non poggia su alcun fatto dimostrabile.

Penso che ad oggi non ci sia definizione più chiara ed esplicita della tiritera che Lorenzo Quadri, soprattutto durante gli ultimi tempi, continua a ripetere ossessivamente.

Lo straniero e la figura del male

Siamo alle solite : come il ritorno della primavera, come le mezze stagioni che scompaiono, come i giorni che passano, l’acqua che bagna e i tempi che –signora mia !- non sono più quelli di una volta. Lo straniero ritorna ancora una volta sulla scena del dibattito pubblico nazionale. Per questa occasione è stato travestito con i panni del criminale, dopo che gli sono stati affibbiati il costume da pecora, i tratti di un pericoloso delinquente che ruba passaporti rossocrociati, i connotati di chi desidera il male per mamma Elvezia.

Il retrovisore, il raddoppio del Gottardo e il buco nell’acqua

E’ una delle tappe fondamentali dell’istruzione alla guida. Non basta sapere girare il volante, pigiare sull’acceleratore, premere il pedale del freno e controllare la frizione, occorre anche imparare a valutare le distanze, apprendere a situare la propria automobile nello spazio e nel traffico : perciò è fondamentale imparare ad utilizzare lo specchio retrovisore. O meglio, i tre retrovisori montati sull’automobile.
In auto bisogna sapere guardare, distinguere e anticipare. Chi non sa usare gli specchi retrovisori a modo -in realtà- non guida l’automobile, ma la porta o, ancora peggio, si fa trasportare dal veicolo. Lo strumento comporta tuttavia la trappola dell’angolo morto, quello spazio dove occorre guardare grazie ad un gesto allenato perché non è coperto dalla visuale offerta dagli specchi retrovisori.

L’inventario

C’è un altipiano di una struggente bellezza, il cui vuoto trafigge e che non riesci a toccare. C’è uno spazio di una desolazione sconfinata, il cui terrore ti toglie il fiato. C’è un albero di un’impossibile altezza, la cui vertigine ti capovolge. C’è una parola di un’inverosimile indolenza, il cui ultimo suono non potrai mai ascoltare. C’è una trappola di un’insormontabile dolcezza, la cui rabbia non hai mai sfiorato.

La figurina di Pamini

C’era da sperare che la minuscola esternazione, com’è solito definire questo genere di affermazione nel panorama mediatico della vicina penisola, rimanesse al Sud delle Alpi. Invece, purtroppo,…

Lorenzo Quadri, il can’ rognoso e la solita baruffa de’ quattro gatti

Povero Lorenzo Quadri, la similitudine del cane colpito da rogna deve avergli avergli arrecato parecchio dolore, lo ha a dir poco urtato, lasciandogli impresso un ruvido livido. Certo, la similitudine con la quale è stata comparata e descritta la solitudine del deambulare -evitato da tutti- del Lorenzo Quadri nel bernese Palazzo non è di certo delle migliori ; di sicuro non è raccolta nel Gran Manuale delle Similitudini dell’Eleganza Letteraria e –nella sua costruzione- non dipinge nemmeno l’aureo capello del Lorenzo Quadri secondo i principi cari alla carnascialesca allegoria.